Enzo Varricchio
articolo pubblicato su Nuova Museologia
Il Mouseion dell’antica grecia, un M.I.T. ante litteram
Appare corretto ritenere che in epoca alessandrina si sia avviato il processo di progressiva laicizzazione delle funzioni museali, almeno nel senso di una loro prima emancipazione dalle sovrastrutture di potere politico-religioso che pure ne hanno caratterizzato la genesi.
D’altro canto, le origini del mouseion nell’antica grecia non sono meno fondate su fattori misteriosofici di quanto non lo siano i santuari della reminescenza eretti da altri popoli.
A Rodi, i Mousaistai erano adoratori delle Muse costituenti una società segreta che si riuniva periodicamente dinanzi all’altare della dea madre Mnemosyne, probabilmente situato in una grotta, come l’accezione pliniana della parola latina musaeum lascerebbe intendere.
Tuttavia, sin da principio, i Greci avevano afferrato l’importanza per la loro identità etnoculturale e per la società civile della funzione strumentale di perpetuazione della memoria attribuita alle Muse e al loro tempio che, evidentemente, venne conservata anche quando l’apparato religioso andò dissolvendosi o trasformandosi.
Il richiamo a un evento/ricordo fondante è esplicito in tal senso: “La leggenda narra, infatti, che Zeus, pregato dagli altri dei di dare vita a divinità atte a perpetuare col canto il ricordo della grande vittoria sui Titani, si unì con Mnemosyne, dea della memoria, e ne nacquero le Muse”.
Le Muse nascono per soddisfare l’esigenza di custodia e perpetuazione della storia divina e poi finiscono per ispirare poeti e rapsodi, unitamente al dio Apollo al cui giogo sono indissolubilmente avvinte.
Anche in questo caso, come per le altre culture antiche, il tempio greco delle Muse dovette essere uno spazio fisico preposto alla conservazione di oggetti simbolici e al culto del passato mitico cristallizzatosi in una serie di storie fondanti, indispensabili per la continuità culturale, o meglio, per la legittimazione di tale continuità, trasfusa nella tradizione scritta e orale.
La dea Memoria e le sue figlie Muse sono il contrario della dimenticanza, dell’oblio; grazie a loro, i grandi uomini e le grandi imprese divengono mitici per sempre, sfuggono alla signoria della morte.
Il vocabolo latino monumentum (memoria, ciò che perpetua il ricordo, che serve a ricordare) è un sinonimo di museo e tra i suoi significati annovera anche quelli di galleria, tempio, tomba.
Persino gli dei hanno bisogno di un monumento per testimoniare il passaggio del tempo e rendere memorabili gli eventi, come rammenta Ugo Foscolo ne “I Sepolcri”: Zeus erige un mausoleo a Troia alla sua amante Elettra, allo scopo di renderla immortale.
Sull’Elicona, in Beozia, luogo privilegiato dello spirito solare apollineo, fonte di energia creativa, esisteva un mouseion in cui si conservavano gli scritti di Esiodo e le statue di coloro che avevano onorato le arti, in una galleria di uomini illustri che non doveva essere assai dissimile da quella che più tardi avrebbe adornato il porticato degli Uffizi fiorentini.
Pare che anche nell’Acropoli ateniese esistesse una pinacoteca, annessa ai Propilei, con le raffigurazioni di dei ed eroi del passato.
Col tempo, va intensificandosi il rapporto con le arti, cioè con le teknè, i modi e i metodi della conoscenza: le Muse sono onniscenti e nel Mouseion di Alessandria - come ci fa sapere Strabone, che vi aveva a lungo soggiornato, nella sua Geografia (7 d.C.) -, erano rappresentate tutte le branche del sapere: una specie di centro di ricerca, un M.I.T. dell’antichità.
Il suo fondatore, successore di Alessandro Magno, Tolomeo I Soter, stimolato dall’istituzione del Lykeion in Atene e consigliato dal filosofo e uomo politico Demetrio di Falerone, intese farne un laboratorio di ricerca di tutte le scienze, piuttosto che una scuola.
Gli scienziati alloggiavano all’interno del Mouseion situato nelle vicinanze del palazzo reale, dotato di un peripatos (una passeggiata), una exedra (piazzetta con colonnato dove gli studiosi si incontravano e discutevano), un oikos (una grande sala), una biblioteca.
A Pergamo, Attalo I, dopo essersi impadronito di Egina e di altri territori famosi per creazioni artistiche, trasportò molte opere di pregio e libri; Eumene II, suo successore, provvide ad arricchire ulteriormente questo patrimonio, facendo realizzare una moltitudine di copie di opere classiche.
Anche ad Antiochia, sotto il regno Seleucide di Antioco Filopatore (114-95 a.C.) fu fondato un mouseion.
A Pergamo e ad Alessandria le Muse si sono ormai definitivamente specializzate nelle rispettive branche artistiche e operano in sinergia con le biblioteche come centri di conservazione e di produzione culturale.
Tra le discipline non può mancare la storia, rappresentata da Clio, la musa che canta le imprese gloriose del passato.
Quello che per gli Egizi e per gli Ebrei era stato il tempio della conoscenza spirituale cominciò ad essere frequentato da filosofi, scienziati, intellettuali, diventò l’albergo delle arti, delle virtù intellettuali e civili, un luogo di dialogo e confronto aperto e paritario, piuttosto che un sacro scranno dal quale i grandi sacerdoti ammaestrano e indottrinano i fedeli.
Un Museo esisteva anche nell’Accademia platonica e nel Liceo di Aristotele ma è ad Alessandria che la parola mousa acquisisce il significato di “cultura”.
Nel museo alessandrino nasce pure il concetto di “classicità”.
E’ lì che, musealizzando le opere dell’arte e dell’ingegno degli antichi, come nella vicina biblioteca si musealizzavano i libri, si crea il passaggio dal presente storico al passato del modello classico, si apre una frattura che rende la tradizione non proseguibile, arrestandola come antichità; al contempo, si produce un atto di identificazione che travalica tale iato, riconoscendo come proprio il passato trascorso e ravvisando negli antichi i maestri tout court.
Il Museo rende il passato passato ma non estraneo, lo semiotizza, lo interpreta familiarizzandolo; è il luogo in cui avviene un dialogo tra esso e il presente in un orizzonte ipoleptico, cioè in una variazione progressiva inserita in una continuità culturale.
Ad Alessandria, il punto focale è la codificazione di un ricordo, di un riferimento al passato al di là della frattura, nel senso della ricostruzione di una continuità culturale: “la rinascita della poesia e il recupero degli antichi capolavori sono protetti dalle figlie di Mnemosine”.
Celebre per gli studi di filologia e di storia, poi per la nuova retorica, il museo di Alessandria divenne fulcro del neoplatonismo nel III secolo d.C., sopravvivendo tra alterne vicende sino al 415, anno in cui fu assassinata da fanatici cristiani Hypatia, la dotta figliola dell’ultimo membro dell’accademia, il matematico Theon, come riporta il lessico bizantino Suda.
Al mondo greco dobbiamo, dunque, la forma del museo come “centro di ricerca”, propulsore di nuove idee, luogo di produzione di valore oltre che di conservazione di valori, un modello riscoperto ai nostri giorni.
“L’usanza di raccogliere capolavori artistici dalla Grecia passò a Roma, ove soprattutto all’inizio dell’Impero i templi e le case patrizie si arricchirono di numerose opere d’arte che divennero talvolta, per questa ragione, luoghi di pubblico accesso”.
Gli imperatori romani, in particolare Adriano, furono grandi mecenati del museo alessandrino, proseguendo l’uso dei Tolomei di organizzarvi convegni e simposi e di provvedere con un lauto compenso all’attività degli insegnanti.
Il processo di progressiva laicizzazione dei monumenta spostò il museo dai templi e dalle tombe alle regge ed alle ville patrizie, adornate dai raffinati collezionisti di età imperiale di vasi, statue, bronzi, ritratti egizi, decorate con stucchi, marmi intarsiati e colorati, dipinti murali.
Il museo era un ottimo status symbol per le classi emergenti.
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