Enzo Varricchio
articolo pubblicato su Nuova Museologia

Preistoria e archeomitologia del Museo

 

E’ noto che il vocabolo museo deriva etimologicamente dal greco mouseion, che denominava l’antico tempio dedicato alle Muse.
E’ significativo che tale origine etimologico-semantica si ritrovi in quasi tutte le lingue europee.
Di conseguenza, si è soliti far derivare dalla grecità anche l’idea stessa, oltre che il nome di museo.
Si potrebbe parlare, invece, di una preistoria extra o preellenica dell’idea di museo e, persino, di una sorta di sua esistenza archeomitica, risalendo financo alle pitture rupestri di Altamira o Lescaux, quali sue embrionali progenitrici.
E’ certo che l’esigenza di conservare a futura memoria le vestigia di uomini e popoli in uno spazio deputato o in un edificio è antichissima ed è presente a tutte le latitudini, anche se in principio era legata a funzioni prettamente cultuali e funerarie.
I templi dell’antichità, scriveva l’autore de La macchina del tempo, H. G. Wells: “erano anche musei e vi si conservavano tutti i tesori. Ogni cosa che arricchisse la comunità veniva messa nei templi e custodita dai sacerdoti. Erodoto, il primo storico greco (485-425 a.C.) trovò la maggior parte dei suoi materiali presso i sacerdoti dei paesi ove lo portarono i suoi viaggi”.
E’ provato che: “Già in epoca molto antica esistevano raccolte di preziose opere d’arte nei templi, nei santuari e nelle regge”.
La museologa italiana Mottola Molfino afferma: “Sembra che la forma museo sia congenita all’uomo europeo, che il bisogno di raccogliere le cose preziose per la propria memoria, e collocarle in un luogo adatto, sia stato da sempre una necessità. Un dialogo tra vita e morte: strappare gli oggetti alla morte (cioè alla loro scomparsa o dispersione); tesaurizzarli per testimoniare di sé; dare nuova vita a questi oggetti riparando alla fantasia di antiche distruzioni e danneggiamenti. E poi sacralizzare il luogo dove essi si conservano: farne il ‘luogo delle Muse’, cioè delle arti, delle virtù intellettuali e civili. Così il mouseion diventa un monumento: nel senso etimologico del termine uno strumento della memoria. Luogo mitico in quanto luogo della ricreazione, ma anche della negazione, della storia”.
E’ difficile stabilire oggi se la dimensione del sacro sia stata la causa oppure l’effetto del bisogno di memoria, dell’aspirazione all’immortalità, che fu alla base dei primi musei che l’umanità ha eretto.
Possiamo dire che i due aspetti, nella preistoria del museo, resteranno a lungo indistinti e che la tomba e il tempio ne furono le forme primigenie di manifestazione, di solito per tramite della creatività e della simbologia artistica.
Probabilmente, la prospettiva europacentrica della museologia italiana andrebbe ridimensionata riguardo agli albori della forma museale.
L’antico Egitto fu all’avanguardia anche in questo campo. L’egittologo Pecchiai scrive a proposito di Giza, che “le piramidi non erano monumenti per sé stanti: avevano a corredo un tempio situato press’a poco a livello della loro base, dal quale si partiva un corridoio coperto, tutto in lastre di pietra, che andava a sboccare in un vestibolo, o altro tempio, sulla riva del Nilo. Costruzioni, queste che favorivano un ricco sviluppo d’arte decorativa funeraria”.
“Più tardi, a ovest di Tebe, i faraoni fecero scavare ipogei profondi oltre cento metri e decorati con scene dipinte. Le tombe non contenevano più cibi e oggetti d’uso come in passato né simulacri di tutte queste cose plasmati in argilla. Le cose stesse venivano raffigurate in pittura sulle pareti…”; “Alle cerimonie sacre per sé stesse solenni e fastose, formavano un magnifico scenario la decorazione sontuosa delle grandiose architetture, le statue gigantesche addossate ai pilastri, i bassorilievi colorati e, all’esterno, le sfingi, i piloni, gli obelischi”.
Lo stesso armamentario mnestico e il medesimo esibizionismo comunicativo della tradizione dei re, degli avi e degli eroi spingeva gli antichi Persiani della dinastia achemenide, quantunque non ammettessero il culto delle immagini, ad adornare di opere simboliche i loro templi e gli altri monumenti, con sculture raffiguranti gli avvenimenti memorabili per la comunità, allo scopo di glorificare la magnificenza del sovrano, come più tardi avrebbero fatto re e principi d’Europa nelle corti medievali e rinascimentali.
Il tempio e il palazzo reale costituiscono le prima forme civilizzate di museo, intese come deposito della memoria collettiva, ovvero come simbolo della regalità, così nella torre-santuario di Angkor in Cambogia, allo stesso modo che nel favoloso palazzo di Nabucodonosor II a Babilonia, ove un incommensurabile creatività artistica è messa al servizio della religione o della politica, dell’altare o dell’aula.
Il Sancta Sanctorum dell’antico tempio di Gerusalemme era per gli ebrei inviolabile, in quanto luogo di conservazione mistica degli oggetti-reperti fondanti dei ricordi della comunità e del patto con il suo dio; tuttavia, l’atrio e i corridoi dell’edificio erano aperti al pubblico e si popolavano di fedeli, ai quali i sacerdoti impartivano la tradizione, raccontando gli eventi collegati a quegli oggetti e le gesta dei patriarchi, in tal modo conservandone memoria imperitura.
Così, condividiamo il pensiero di un grande architetto contemporaneo, Renzo Piano, secondo cui il primo museo dell’umanità può essere considerata l’Arca di Noè: “L’Arca, che raccoglie i prototipi di tutte le specie viventi, presuppone un’operazione di classificazione del reale e di scelta di ciò che va salvato dall’oblio e tramandato al futuro. Noé e Deucalione possono quindi essere considerati i primi ‘conservatori’ e la loro imbarcazione il primo museo della storia”.
Al riguardo, v’è da aggiungere una curiosa prova storica del fatto che l’assimilazione tra l’Arca e il Museo risalga almeno all’epoca degli antichi romani.
Nel 1697, nei dintorni di Roma, durante uno scavo tra le rovine di un monumento, venne alla luce un “museo portatile”, uno strano vaso contenente, oltre a una serie di piccoli oggetti, 35 statuette scolpite in forma umana, maschili e femminili, e 19 coppie di animali.
Il “contenitore”, oggi purtroppo perduto, sembrava riprodurre, secondo alcune interpretazioni, la mitica Arca che salvò dal diluvio Pirra e Deucalione (il Noé pagano), l’unica coppia in grado di rinnovare il genere umano, come nel parallelo biblico, dopo la catastrofe voluta dagli dei.
Altro famoso esempio extraeuropeo, di museo ante litteram risale al III secolo avanti Cristo, ed è “L’esercito di terracotta” nella tomba dell’imperatore Qin, a Lintong in Cina: “L’imperatore cinese Qin Shi Hang Di, primo della dinastia dei Qin, decide di consegnare alla storia il ricordo del suo regno e della sua potenza facendosi erigere un immenso mausoleo la cui costruzione, iniziata nel 246 a.C., terminerà solo molto dopo la sua morte. Perché rimanga intatta la memoria della sua grandezza, il sovrano vuole che si conservi, fissata per l’eternità, la riproduzione simbolica dell’intero universo di cui si sentiva padrone. ‘…più di 700.000 coscritti provenienti da ogni angolo del Paese vi lavorarono. Le maestranze scavarono il corso di tre fiumi sotterranei che, sigillati con lastre di bronzo, formarono la camera funeraria. Al suo interno deposero palazzi, torri e centinaia di funzionari, insieme a preziosi utensili ed esotiche meraviglie… I fiumi del Paese, lo Yangtze e lo Huanghe, e persino l’immenso oceano furono ricreati (al suo interno) con mercurio fatto scorrere meccanicamente. Le costellazioni celesti furono dipinte in alto e la geografia della terra in basso’. Schierato in tre grandi sale, un esercito di diecimila guerrieri di terracotta, di altezza leggermente superiore al normale e ognuno scolpito con atteggiamenti, capigliatura e tratti fisiognomici differenti, provvisto di 500 Cavalli e 130 carri, custodiva e proteggeva il monumento alla memoria dell’imperatore”.
Questi sono effetti speciali che nemmeno i più moderni musei della scienza e della tecnologia sono in grado di produrre.
Potremmo quindi ragionevolmente asserire che la museografia e l’architettura museale fossero già prospere diversi secoli prima della nascita di Cristo.
Quello dell’imperatore cinese e delle piramidi egizie è il modello del museo-tomba che troverà numerosi apologeti anche in epoca moderna, come Canova a Possagno, Thordvalsen a Copenaghen, Francis Bourgeois a Londra.
Il museo, tomba, reggia, monumento o mausoleo che sia, è esso stesso opera d’arte. Solo che, per i faraoni allo stesso modo che per l’imperatore Qin, viene costruito per assolvere all’esigenza di coniugare il potere temporale con l’istanza prettamente spirituale di un’aspettativa di immortalità, difficilmente comprensibile ai nostri giorni, che contiene e racchiude nella sfera del sacro sia la funzione museale che la sua estrinsecazione artistica.
Il mistero della tomba/arca/museo dell’imperatore cinese sembrerebbe risiedere nel fatto che le sue entrate furono munite di balestre in grado di scagliare dardi contro i profanatori.
Un museo senza visitatori non avrebbe senso per noi. Sarebbe un non museo, una scatola chiusa ed inutile.
In fondo è proprio e solo questo l’elemento discretivo tra museo e non museo.
L’apertura al pubblico, anche se ad un nucleo assai ristretto di visitatori, è un carattere essenziale e costitutivo di quella categoria del pensiero che noi chiamiamo museo; addirittura, in taluni casi, come al Guggenheim di Bilbao, il museo viene pensato come una vera e propria attrazione turistica.
Quest’ultimo è il modello di “museofantasilandia”, interattivo e virtuale, che riscuote vasti consensi ai nostri giorni.
I musei dell’antichità, pur essendo per così dire “statali”, in quanto di diretta emanazione del re o del grande sacerdote, sebbene fossero pubblici in quanto pubblica e collettiva ne era l’edificazione, non necessariamente erano visitabili; ma ciò che era visibile e percepibile da tutti era il monumento esteriore o il ricordo della sua epica costruzione.
Il punto è che il compito mitopoietico di perpetuare la memoria dei personaggi e degli eventi, talora della cultura intera di un popolo, in alcuni casi non veniva affidato al monumento in sé, bensì alla “leggenda sul monunento”, alla tradizione del ricordo della gigantesca impresa, al racconto, verbale o scritto, di questo luogo storico, la cui eventuale inviolabilità non faceva che rafforzarne il mito.
L’idea di museo non è, dunque, un’invenzione esclusiva né del Settecento illuminista né dell’Ellenismo: i tre elementi, che ancora oggi possiamo ritenere costitutivi dell’essenza del museo, seppure finalizzati al sacrale, si ritrovano anche in altre culture, sia antecedenti che coeve all’istituzione fondata da Tolomeo I ad Alessandria.
Essi sono, in estrema sintesi: 1) la conservazione della memoria e della conoscenza di un popolo attraverso oggetti o scritti raccolti in uno spazio o contenitore fisico, una sorta di “magazzino” dei ricordi fondamentali per la comunità; 2) la esibizione, l’apertura al pubblico, seppure solo simbolica e diegetica, del magazzino; 3) la rinnovazione del tempo storico e della produzione culturale, la rigenerazione delle idee, attraverso la musealizzazione del già accaduto, la classificazione ed archiviazione definitiva dello “ieri”, creando uno iato volontario tra il passato e il presente, il prima e il dopo le persone illustri, le opere e gli eventi memorabili di cui si perpetua la testimonianza.
A questi tre aggiungeremmo un quarto elemento, eventuale ed accessorio, già presente anch’esso nelle civiltà remote: la possibilità di una esportazione del ricordo musealizzato, per effetto dell’esilio oppure di una colonizzazione di territori altri, in cui impiantare il patrimonio mnestico del proprio popolo, allo stesso modo in cui si stabiliscono le guarnigioni militari a presidiare i centri strategici durante una campagna di conquista.
Il popolo ebraico portò con sé l’idea del tempio-museo durante la cattività e su quel ricordo è stata conservata per sempre la sua identità.
Uno dei più importanti artisti del Novecento, Marcel Duchamp, farà di questo concetto di portatilità ed esportabilità del museo un potente elemento profetico e rivoluzionario della sua arte.
Quello che invece mancava ai prototipi antichi di museo è l’emozionalità di tipo prettamente estetico, un aspetto che ha cominciato a caratterizzare il museo solamente in epoca rinascimentale e che ricorre anche ai nostri giorni: è il museo fine a se stesso, fonte di inesauribile godimento, privo di alcun ulteriore obiettivo che il compiacimento dei sensi del collezionista e dei visitatori.
Anche questo tipo di museo, affatto personale ed inutile, che pure ha popolato l’immaginario di grandi poeti decadenti, come il Des Esseintes di Joris K. Huysmans, non rientrerebbe strictu sensu nella concezione diffusa.
Bari, 28 ottobre 2006


Enzo Varricchio
Avvocato esperto di diritto museale e perito estimatore di antichità e opere d’arte


 

 

 

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