Venezia: Punto di separazione tra il bacino di San Marco, il Canal Grande.
foto: Giacomo Latrofa
Il quadro costituzionale riformato
4. Commento dei punti salienti della nuova normativa
Un primo problema sorge dalla necessità di coordinamento tra le norme statali e quelle delle singole Regioni, nella prospettiva “federalistica” adottata nella Legge di Riforma del Titolo V della Costituzione e, da ultimo, nel disegno di legge di Riforma Costituzionale licenziato dalle Camere i cui esiti sono ancora futuri e incerti .
Dal punto di vista del diritto costituzionale, i beni culturali, in quanto espressione della concezione del Soprintendente Paolucci, ormai acquisita nel lessico normativo di “museo nazionale diffuso”, costituiscono un valore identitario primario del nostro Paese e dell’Europa in generale.
Due novità emergono sopra tutte dal quadro costituzionale interno, di cui il recente Codice si è riproposto di fornire la chiave interpretativa: il ruolo attribuito alle Regioni e agli altri enti territoriali e la partecipazione dei soggetti privati alle attività di valorizzazione del patrimonio culturale.
Riguardo la prima novità, le disposizioni contenute nell’art. 116, comma III, e nell’art. 118, comma III, della Costituzione attualmente vigente prevedono la possibilità che, in particolari casi, persino compiti di tutela dei beni culturali, tradizionalmente riservati allo Stato (art. 117, comma II, lettera s), siano attribuibili alla regione interessata.
Il Titolo V della Costituzione: “riforma” e “controriforma”
Vero è che la recentissima “legge sulla devolution” vorrebbe abrogare il comma III dell’art. 116, tanto che qualcuno ha cominciato a parlare di “Controriforma antifederalista”, celata sotto le spoglie di una Riforma ; mentre il disposto dell’art. 117 è stato pedissequamente riportato nel V comma dello stesso articolo.
L’art. 117, terzo comma, della Costituzione vigente attribuisce alle Regioni una potestà legislativa concorrente rispetto a quella statale in materia di “valorizzazione dei beni culturali”, nonché di “promozione e organizzazione delle attività culturali”.
Il Codice dei Beni Culturali: tutela, valorizzazione, gestione
La funzione di tutela del patrimonio culturale viene definita dall’art. 3 del Codice come attività diretta all’individuazione, protezione e conservazione del bene, onde evitare che esso possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale . A tale funzione tutte le altre sono da ritenersi subordinate.
Per “valorizzazione” si intende un’attività diretta a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurarne le migliori condizioni di utilizzo e fruizione pubblica, come si preoccupa di chiarire il Codice dei Beni Culturali (art. 6 del Codice) .
Essa comprende la promozione e il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale.
L’articolo 7 del Codice ricorda che nello stesso sono fissati i principi fondamentali in materia di valorizzazione del patrimonio culturale, ai quali dovrà ispirarsi l’attività legislativa regionale.
La valorizzazione, la promozione e l’organizzazione delle attività culturali postulano un ruolo attivo e propositivo da parte delle Regioni, alcune delle quali si sono sollecitamente attivate per dare applicazione al cosiddetto “Codice Urbani” .
Tali attività rimarranno disciplinate dalla normativa statale solo a mezzo di leggi cornice, mentre resteranno affidate agli enti regionali le regolamentazioni di dettaglio.
Valorizzazione, promozione, fruizione, organizzazione dei beni culturali
Valorizzazione, promozione, fruizione pubblica sono gli elementi portanti della devoluzione alle Regioni di potestà di intervento normativo nella materia dei beni culturali e coinvolgono una molteplicità di soggetti potenzialmente interessati, con tutta una serie di problematiche giuridiche connesse.
Tra questi soggetti, nel 2004 si è aggiunta la ARCUS S.p.A. , società costituita dal Ministero dell’Economia, col compito di sostenere in modo innovativo progetti importanti e ambiziosi concernenti il mondo della cultura, anche nelle sue possibili interrelazioni con le infrastrutture strategiche del Paese.
Si segnala la nuova nozione di “valorizzazione” dei beni culturali emergente dal Codice dei Beni Culturali, che la definisce come attività di costituzione e organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero di messa a disposizione di competenze tecniche o di risorse finanziarie, finalizzate all’esercizio delle funzioni e al perseguimento delle finalità dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio e ad assicurare le migliori condizioni di fruizione.
Esse comprendono un’ampia gamma di servizi che l’art. 118 della Costituzione fa rientrare nelle funzioni di gestione ordinariamente attribuite ai Comuni .
Sono in corso d’opera alcune modifiche al Codice dei B.C. da parte del Ministero: si prevede che lo Stato, le Regioni e gli altri enti pubblici possano stipulare accordi per definire strategie di valorizzazione dei siti culturali e possano costituire soggetti giuridici ad hoc, secondo modalità in corso di specificazione.
Il contratto di servizio per la gestione delle attività artistico-culturali
E’ già avviata la modifica dell’art. 115 del Codice, che dovrebbe istituire un “contratto di servizio per gestire l’arte” .
In questa nuova tipologia contrattuale verranno inseriti gli accordi relativi ai reciproci diritti e doveri tra soggetti pubblici e privati, verrà stabilito lo standard qualitativo minimo dei servizi erogati e il livello professionale degli addetti, l’eventuale concessione in uso degli spazi per svolgere l’attività museale o artistico-culturale.
Dunque, iniziativa pubblica e privata caratterizzano la funzione della valorizzazione del patrimonio culturale, secondo un indirizzo riaffermato dalla Corte Costituzionale, in particolare nella sentenza n. 26 del 20 gennaio 2004, la quale ha statuito che in tema di gestione dei beni culturali ha rilievo, ai fini della competenza, la titolarità dei beni.
In pratica, la valorizzazione è considerata nell’ottica del servizio pubblico se è svolta ad iniziativa pubblica, mentre è vista in chiave di attività privata socialmente utile, se relativa a beni di appartenenza privata.
Sul fronte ermeneutico, restano tuttavia dubbi circa i confini fra tutela e valorizzazione, concetti talora addirittura in contraddizione tra loro, atteso che vi sono beni che non possono essere valorizzati in quanto bisognosi di massima cura.
Secondo alcuni studiosi, addirittura la distinzione tra i due termini si fonda su un errore tecnico: “Le azioni di cura del patrimonio non possono essere segmentate ad arbitrio ma costituiscono un continuum che si fonda sulla conoscenza del patrimonio e ne include la tutela, gestione, valorizzazione e fruizione. Distinguere queste fasi, tutte necessarie, è impossibile: per fare un solo esempio, la funzione di catalogare i beni culturali è al tempo stesso conoscenza, tutela, gestione, valorizzazione. L’attribuzione di competenze separate a Stato e Regioni produce duplicazione di progetti, spreco di risorse pubbliche, conflitti di competenza davanti alla Corte Costituzionale” (Salvatore Settis ).
A causa di questo errore di impostazione, si rischia di avere tante concezioni diverse della tutela e della valorizzazione quante sono le regioni italiane, con inevitabili squilibri tra le aree più e meno ricche del Paese.
L’intervento di soggetti privati
nella valorizzazione e fruizione
Una seconda novità del sistema normativo riformato è costituita dal ruolo attribuito ai soggetti privati, singoli o associati, nell’attività di valorizzazione e fruizione.
La devoluzione prevede anche l’utilizzo di misure fiscali da parte di Comuni, Province, Città metropolitane per agevolare l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati nello svolgimento di attività di interesse generale, tra le quali rientrerebbero quelle di conservazione, tutela, fruizione e valorizzazione dei beni culturali e delle opere d’arte (art. 118, comma VI, Cost., nella versione riformata).
Riguardo il nuovo Codice, esso è stato presentato dal suo propiziatore, il Ministro Giuliano Urbani, come una “scelta di civiltà giuridica” e un’autentica “rivoluzione copernicana” del settore .
Costituisce un’operazione di unificazione e semplificazione legislativa, raccogliendo in un corpus di 184 articoli una normativa sinora disarticolata in numerosi provvedimenti .
Alienazione di beni culturali demaniali: il silenzio assenso
Tuttavia, è già in corso di modifiche, ad iniziativa del nuovo titolare del dicastero della cultura.
In particolare, è stato modificata la contestatissima disposizione dell’art. 12 del Codice, che prevedeva il silenzio-assenso alla alienazione dei beni culturali demaniali .
Il Codice ribadisce il principio (che soffre eccezioni) di inalienabilità del cosiddetto “demanio culturale” del Paese, ordinando al contempo che esso venga censito in modo capillare.
Ambiente e patrimonio culturale: da elementi distinti ad endiadi
Ad ogni buon conto, e in attesa delle annunziate revisioni, va detto che il Codice stabilisce che i beni paesaggistici sono parte integrante del patrimonio culturale, con ciò dando attuazione all’art. 9 della Costituzione e prevedendo che i piani paesaggistici, da assumersi entro quattro anni da parte degli enti territoriali preposti, prevalgano su tutti gli altri strumenti di controllo e pianificazione del territorio.
Il regime vincolistico viene per alcuni versi semplificato e per altri rafforzato.
Il Codice sancisce il principio, già ribadito dalla Giurisprudenza amministrativa , secondo il quale la tutela dei beni culturali può comportare la protezione dell’ambiente circostante al bene tutelato in via diretta, onde evitare il fenomeno delle cosiddette “cattedrali nel deserto”.
La verifica archeologica preventiva
L’art. 2 quater del Decreto Legge n. 63 del 2005 ha introdotto una nuova procedura per determinare l’impatto archeologico di una nuova costruzione, denominata “verifica archeologica preventiva”.
Il procedimento consta di tre fasi: la prima, di studio, si svolge durante la progettazione preliminare e prevede una serie di operazioni di carotaggio, saggio archeologico, valutazioni geofisiche e chimiche, etc.; la seconda comporta saggi più approfonditi in fase di progettazione esecutiva dell’opera: la terza si conclude con una relazione finale da parte delle soprintendenze che stabiliscono in alternativa la libera edificabilità, la non edificabilità totale o quella parziale, con eventuale obbligo di mantenimento del sito.
Ai sensi del disposto dell’art. 45 del Codice sorge, altresì, una forma di “vincolo indiretto”, inteso come limite di inedificabilità totale o parziale, sul territorio circostante il ritrovamento storico, artistico o archeologico, finalizzato a creare e preservare una “fascia di rispetto” idonea a preservare la cornice ambientale del monumento.
Tali norme andranno raccordate alle disposizioni dettate dal nuovo “Codice dell’Ambiente” di recente introduzione.
In effetti il diritto dell’ambiente, come il diritto del turismo, sono discipline le cui interferenze con il diritto dei beni culturali sono diventate sempre più intense, vuoi per il riconoscimento teoretico dell’unità concettuale sussistente tra ambiente, storia, arte, nella nozione di “patrimonio diffuso” di cui tutti siamo contitolari, vuoi per la esigenza pratica di attrarre i flussi turistici e ripristinare situazioni degradate.
Conservazione e restauro dei beni culturali di proprietà privata
Per quanto riguarda la tutela del patrimonio culturale di proprietà privata, l’art. 32 introduce la possibilità di un intervento diretto di manutenzione da parte della P.A. anche contro la volontà del proprietario, mentre le norme seguenti prevedono la possibilità di una partecipazione pubblica agli oneri di conservazione del bene culturale, a mezzo di finanziamenti ad hoc.
L’art. 38 introduce una delle limitazioni più intense al diritto di proprietà, prevedendo l’imposizione dell’accesso al pubblico ad un monumento che abbia beneficiato dei finanziamenti per il restauro, anche se lo stesso intervento restaurativo sia stato precedentemente imposto .
Circolazione dei beni culturali
L’art. 104, a sua volta, comprime il notoriamente elastico diritto di proprietà, imponendo l’accesso pubblico a quei singoli beni o collezioni qualificati di “eccezionale interesse culturale”.
Riguardo ai limiti imposti alla circolazione di beni culturali, l’art. 60 del Codice riprende l’art. 31 della legge 1089/1939, disciplinando il procedimento per l’esercizio della “prelazione culturale” – altro istituto frutto di ibridazione tra il diritto civile e quello amministrativo -, consistente nel riconoscimento della prevalenza ex lege della P.A. rispetto agli altri potenziali acquirenti di un bene culturale . L’Amministrazione ha 60 giorni di tempo per esercitare il diritto di prelazione.
Il Codice, per facilitare gli scambi culturali fra i diversi Paesi e promuovere l’immagine dell’Italia, ha ristretto a soli 40 giorni il tempo a disposizione del Ministero per negare l’autorizzazione alla circolazione temporanea all’estero dei beni culturali di proprietà privata. Decorso tale termine il bene può essere liberamente trasferito all’estero per un periodo limitato.
Esternalizzabilità della gestione dei beni culturali
La modifica dell’articolo 10 del D.lgs. 368/1998, contenuta negli artt. 115 e 117 del Codice, conferma l’esternalizzabilità della gestione dei beni culturali, cioè la possibilità di dare in concessione a soggetti diversi da quelli statali gli stessi beni culturali di interesse nazionale e non solo la gestione di servizi relativi ad essi, secondo una serie di criteri stabiliti in altre leggi.
Il Codice riconosce l’alto valore sociale dell’impegno privato nella valorizzazione dei beni culturali pubblici, con l’obiettivo di ottenere maggior flessibilità organizzativa, programmazione per obiettivi e livelli di redditività più elevati.
E’ una buona occasione per il sorgere di forme di partenariato pubblico-privato , anche se non sono mancate già le notazioni critiche e le controversie tra lo Stato e le Regioni sull’interpretazione del riparto di competenze .
Il Codice, pur nella ridda di critiche veementi che pure ha già suscitato , intende traghettare il settore verso un’interazione col mondo delle aziende e il micro e macromecenatismo, con l’introduzione di nuovi modelli gestionali per le strutture museali e monumentali.
Non solo i servizi aggiuntivi e le biglietterie, infatti, possono essere gestiti da privati ma anche un intero museo potrà essere conferito in uso a fondazioni oppure ad Università che offrano adeguate garanzie economiche e scientifiche ; le Regioni si occuperanno di vigilare.
Le società miste per la gestione
Lo stesso Ministero si propone di “intraprendere cultura”, attraverso la costituzione e la partecipazione a società miste, a norma dell’art. del d.lgs 20.10.1998 n. 368 .
Un’altra apertura al mercato, introdotta dal Governo con il Decreto Legge n. 260 del 30.09.2003 , attualmente disciplinata dal Codice (artt. 55-59), risiede nella predetta possibilità di alienare e permutare beni appartenenti al demanio cosiddetto artistico, laddove essi perdano, a seguito di apposita verifica, l’interesse culturale.
Tale scelta non ha mancato di suscitare vibranti polemiche da parte di quanti paventano la vendita a privati di pezzi rappresentativi del patrimonio storico artistico nazionale, anche se questo pericolo non sembra emergere dalla lettura della norma.
Il Codice introduce nuovi procedimenti di rilevanza amministrativa e civilistica: l’art. 16 prevede una speciale tipologia di ricorso amministrativo avverso il provvedimento che dichiara l’interesse culturale di un determinato bene, mentre gli articoli 90-93 si preoccupano di regolare le ricompense dovute ai soggetti privati che effettuino ritrovamenti di beni culturali.
Ulteriore novità interessante, introdotta dall’art. 101, comma IV, del Codice, è costituita dal riconoscimento della utilità sociale, e nel conseguente impegno al sostegno, del servizio reso da soggetti ed enti privati che gestiscono strutture di esposizione e consultazione, cioè luoghi culturali aperti alla collettività.
Con gli articoli 120 e 121 del Codice, si sono definite le modalità di sponsorizzazione privata di beni culturali e si è prevista la possibilità per le P.A. di stipulare protocolli d’intesa con le fondazioni bancarie, al fine di coordinare gli interventi di valorizzazione del patrimonio culturale.
Un’altra parte rilevante del Codice è quella dedicata alla attività di diffusione della conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole, oltre a quella, già menzionata, che prevede accordi con le fondazioni bancarie per coordinare gli interventi di valorizzazione.
Stante la volontà del Codice di costituire un corpus sistematico unitario e chiarificatore, la parte quarta ha predisposto un articolato sistema sanzionatorio degli illeciti in materia, mentre la quinta e ultima parte, all’articolo 184, elenca utilmente le disposizioni abrogate per effetto della sua entrata in vigore.
Questo “Testo Unico della cultura” ha già subito rimaneggiamenti per effetto della sanatoria paesaggistica, inserita dal Parlamento nella delega ambientale e sono già in via di preparazione i decreti modificativi del Codice riguardanti, oltre alla già riferita cancellazione del silenzio assenso, nuove regole per la gestione dei monumenti, ridefinizione del percorso formativo di restauratore, maggiore collaborazione Stato-Regioni nella predisposizione dei piani paesaggistici, più incisività al potere di veto dei Soprintendenti, riscrittura delle procedure di autorizzazione.
Insomma la materia dei beni culturali assume sempre più la fisionomia di un work in progress o, più pessimisticamente, di un cantiere sempre aperto…
Si è fatto qualche passo avanti con il passaggio da un concetto di tutela del paesaggio in chiave esclusivamente estetica ad un’idea di esso come testimonianza antropica.
Questioni di diritto tributario
e mecenatismo culturale
Restano insolute problematiche quali quella della “comunicazione dei beni culturali”, cioè delle modalità attraverso cui veicolare al grande pubblico l’informazione ad essi relativa; rimane poco protettiva la normativa in materia di fotografie.
Una trattazione a parte meriterebbero, infine, le problematiche fiscali e quelle scaturite dall’entrata in vigore del Decreto Legislativo 9.04.2003 n. 68, e successivi interventi normativi in materia di diritto d’autore e diritti connessi .
Riguardo le prime, ci si limita a constatare che le misure di politica fiscale finalizzate ad attrarre capitale privato nelle iniziative culturali non hanno sortito sinora gli esiti sperati.
Il mecenatismo delle imprese si è sinora rivelato inferiore alle attese, anche se il trend è in netta crescita , mentre i meccanismi premiali per il micromecenatismo dei singoli cittadini si sono presentati ancora insufficienti.
Sul fronte delle proprietà intellettuali, mentre ha affrontato la tematica computeristico-internautica - la cui trattazione esula dal presente lavoro -, la “miniriforma” del diritto d’autore non ha risolto le istanze di maggiore tutela di autori ed artisti.
Non minori perplessità desta il metodo “a puntate successive” utilizzato dal legislatore il quale “ forse, dimentica che l’applicazione dei principi generali e la lettura sistematica delle norme offre la soluzione alla maggior parte dei problemi che le nuove tecnologie e lo sviluppo oramai incontrollabile degli strumenti di comunicazione propongono” .
Il diritto d’autore nell’ottica del Decreto Legislativo n. 68 del 9.04.2003
Il primo capo del Dlgs n. 2003 (artt. 1-35) ha introdotto modificazioni alla legge del 1943 n. 633 sul diritto d’autore; il secondo (art. 36-37) ha modificato la legge n. 93 del 25.02.1992 sulle riproduzioni private senza fini di lucro; il terzo capo (artt. 38-41) è dedicato alle disposizioni transitorie e finali.
Tra le principali novità si annoverano: l’estensione della tutela al software e alle banche dati; le modifiche ai diritti di esclusiva dell’autore e quelle relative al contenuto dei diritti connessi del produttore fonografico, dell’emittente radiotelevisivo e degli artisti interpreti; le modifiche al regime della copia privata e gli interventi in materia di libere utilizzazioni.
A tutt’oggi non si è riusciti a porre mano al progetto di unificazione e codificazione della materia, per la quale il testo base resta quello della legge del 1941, con tutte le conseguenti obsolescenze e inadeguatezze dell’apparato normativo alle nuove frontiere segnate dalla tecnologia e dal progresso culturale e scientifico.
In questo ambito, la Giurisprudenza svolge un ruolo “creativo”, giungendo persino a inventare nuove figure giuridiche, come nel recente caso del “diritto all’oblìo”, inteso dal foro ambrosiano come possibilità di occultare e/o secretare post mortem, per volontà degli eredi, documenti e scritti di pugno di importanti scrittori .
Legge cost. 18 ottobre 2001 n. 3.
La Riforma, contenuta del D.d.l. approvato al Senato il 16.11.2005, che dovrà essere sottoposta al vaglio del Referendum confermativo, presenta numerosi aspetti in via di approfondimento.
Cfr. sentenze della Corte Costituzionale n. 94 e n. 359 del 1985, n. 151 del 1986, n. 196 del 2004.
Conformemente alle pronunce giurisprudenziali sul caso della riproduzione dei “Bronzi di Riace”, che si spingono ad un vero e proprio commento della normativa in via di riforma: “Dal complesso delle suddette norme si ricava che l’attività di valorizzazione dei beni culturali, deve essere frutto di un intervento programmato e coordinato che deve vedere coinvolti, unitamente allo Stato, tutti gli enti locali, oltre che eventuali altri soggetti pubblici e privati interessati…”; “…Il diritto di proprietà pubblica non si giustifica ex se, ma solo in quanto mezzo di perseguimento dei fini di interesse pubblico imputati agli enti proprietari. Laddove non sia obiettivamente riscontrabile l’esigenza di svolgere a livello centrale la funzione di valorizzazione del bene culturale di appartenenza statale, sembra necessario ritenere che tale funzione debba essere imputata, in forza dell’art. 118, comma I, Cost., ai livelli istituzionali inferiori, a partire dal Comune” (C. cost. 28.03.2003 n. 94, in F.I., 2003, I, 1308; vedi anche T.A.R. Calabria 10.10.03 n.1285, in F.A., T.A.R. 2003, 3092).
Vedi V. Onida, Riforma federale, di vero c’è poco, in Sole 24Ore, pag. 1, 3 marzo 2005, il quale denunzia una progressiva tendenza all’erosione delle prerogative trasferite alle Regioni.
Cfr. Corte Cost. sent. N. 9/2004.
Si segnala al riguardo la sentenza del 20 gennaio 2004 n. 26, la quale ha chiarito che l’attività di valorizzazione e gestione viene disciplinata dallo Stato o dalle Regioni a seconda se il bene sia di titolarità dell’uno o delle altre. Sicché, viene preclusa la possibilità di disposizioni statali di dettaglio, con possibilità di contrasto tra normativa regionale e quella dettata dal Codice e adettarsi con le leggi finanziarie.
Secondo la sentenza Corte Cost. n. 9 del 13/01/2004 la gestione accede sia alla tutela che alla valorizzazione; quest’ultima è diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale.
La filosofia ispiratrice del Codice ha trovato sollecita risposta da parte delle Regioni: la Regione Puglia, con la legge 29 aprile 2004 n. 6 ha dettato “Norme in materia di spettacolo e norme di disciplina transitoria delle attività culturali”. La Regione Sicilia, con la circolare del 30 novembre 2004 n. 19, ha fornito indicazioni relative alle alienazioni a titolo oneroso di beni culturali di cui al Codice, in particolare riguardo l’esercizio del diritto di prelazione.
Vedi seguente documento programmatico, pubblicato in: Un nuovo strumento di intervento a sostegno dei beni culturali, in Arcus S.p.A: Via Agostino Depretis, 86 • 00184 Roma • Tel. 06 4740372 - 47882423 Fax 06 47823919 • e-mail: info@arcusonline.org.
“Nel mese di febbraio 2004 è stata costituita, e dal mese di maggio è pienamente operativa, Arcus Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo - il cui capitale è interamente sottoscritto dal Ministero dell’Economia e la cui operatività deriva dal programma di indirizzo messo a punto dal Ministero per i Beni le Attività Culturali e dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Il compito dichiarato di Arcus è di sostenere in modo innovativo progetti importanti e ambiziosi concernenti il mondo della cultura, anche nelle sue possibili interrelazioni con le infrastrutture strategiche del Paese.
Nella missione di Arcus sostenere progetti significa individuare iniziative importanti, aiutarne il completamento progettuale,intervenire negli aspetti organizzativi e tecnici, partecipare - ove opportuno o necessario - al finanziamento del progetto, monitorarne l’evoluzione, contribuire ad una conclusione felice dell’iniziativa.
É importante che venga ben compresa la specificità operativa di Arcus, così come emerge da quanto appena scritto:
la Società non è un’agenzia di erogazione di fondi, non interviene fornendo meri supporti economici, non fa parte dei “distributori a pioggia” di fondi pubblici o privati.
Arcus, invece, si propone come uno strumento originale per il sostegno e il lancio di iniziative e progetti importanti e innovativi nel panorama della cultura italiana. Il supporto economico, se interviene, deve essere visto come del tutto strumentale nell’ambito di un progetto culturale che sia concettualmente valido e operativamente condiviso.
Il richiamato aspetto dell’innovatività è importante. Per fare un esempio, se ad Arcus venisse proposto di sostenere con un puro intervento finanziario il restauro di un determinato bene culturale, la risposta sarebbe quasi certamente negativa, perché si configurerebbe la fattispecie di una semplice sovvenzione economica. Come si è già detto, tale tipologia di attività è estranea, in linea di principio, alla missione di Arcus.
Se, per contro, si proponesse ad Arcus di partecipare ad un progetto di restauro dello stesso bene culturale, nell’ottica di identificare, nel corso del lavoro, anche tecniche avanzate di restauro eventualmente replicabili per altri consimili interventi, allora la risposta sarebbe quasi certamente positiva e Arcus potrebbe includere, nel proprio pacchetto di intervento, anche l’aspetto finanziario.
Scendendo in qualche particolare, Arcus fornisce assistenza ad iniziative finalizzate, ad esempio, a:
• predisporre progetti per il restauro, il recupero e la migliore fruizione dei beni culturali;
• tutelare il paesaggio e i beni culturali attraverso azioni e interventi volti anche a mitigare l’impatto delle infrastrutture
esistenti o in via di realizzazione;
• sostenere la programmazione, il monitoraggio e la valutazione degli interventi nel settore dei beni culturali;
• promuovere interventi progettuali nel settore dei beni e delle attività culturali e nel settore dello spettacolo.
Per la realizzazione delle proprie attività Arcus si avvale delle risorse di cui all’articolo 60 della legge 27 dicembre 2002 n. 289. La norma dispone che il tre per cento degli stanziamenti previsti per le infrastrutture sia destinato alla spesa per la tutela e gli interventi a favore dei beni e delle attività culturali. Arcus è individuata come la struttura destinataria di tali fondi.
La Società, inoltre, può ricevere finanziamenti stanziati dall’Unione Europea, dallo Stato e da altri soggetti pubblici e privati.
Il progetto ambizioso di Arcus è di diventare il “collante” – per usare un’espressione utilizzata dal suo Presidente Mario Ciaccia – che consente di rendere operativa la capacità di promozione e sostegno progettuale per la realizzazione di iniziative mirate a migliorare il quadro dei beni e delle attività culturali.
Non a caso viene utilizzata la parola collante. Si tratta, infatti, in vista della promozione di importanti progetti, di unire tutti i possibili interventi dei soggetti potenzialmente interessati ai progetti stessi, siano essi enti territoriali, organismi come il FAI, associazioni come Civita, le Fondazioni di origine bancaria, le università.
Arcus, muovendosi con la dovuta attenzione, favorirà la necessaria convergenza di tutti i soggetti, contribuendo quindi al successo dei progetti culturali di volta in volta identificati.
In questo quadro, una particolare attenzione verrà posta sulla promozione dei bacini culturali, cioè delle aree geografiche
nelle quali insistono beni culturali emblematici, in una visione integrata e sistemica capace di collegare ai beni culturali locali, le infrastrutture, il turismo, le attività dell’indotto, i trasporti”.
Ne sono esempi la trasformazione di una masseria sottoposta a vincolo della Soprintendenza in un luogo espositivo per mostre organizzate da una fondazione, o la realizzazione, da parte di società specializzate, di manifestazioni artistiche e musicali finalizzate a promuovere la conoscenza e il flusso turistico in direzione di un sito archeologico nazionale, tutte attività che per essere svolte richiederanno la consulenza di professionalità qualificate anche nell’area giuridico-economica.
Non mancano critiche al nuovo apparato normativo, come quella dell’ex sottosegretario al ministero B.A.C., Vittorio Sgarbi: “per la tutela del paesaggio occorrono vincoli più stringenti e decisi…questo richiede un intervento centrale deciso, invece si va nella direzione opposta: la devoluzione ai poteri locali, che sono i primi artefici del compromesso… non credo che la soluzione stia nei codici, che sono gabbie astratte nelle quali si può mettere di tutto. Ci vorrebbe una struttura operativa che rispondesse a un’unica autorità, capace di segnalare gli orrori locali e di intervenire per impedire danni.”, in Luoghi dell’infinito, supplemente di “Avvenire”, maggio 2004, p. 18.
Notizia riportata da A. Cerchi, in Sole 24 Ore del 2 marzo 2006, pag. 23.
In Sole 24 Ore del 13.11.2005, pag. 33.
In Giuliano Urbani: Più diritti alla tutela, in “Luoghi dell’infinito”, supplemento del quotidiano “Avvenire”, n. 74 del maggio 2004, pag. 8-9.
Il Codice è articolato in cinque parti: nella prima parte viene riordinato il complesso dei poteri previsti dalla L. Costituzionale n. 3/2001; nella seconda si definicono le regole della tutela, della fruizione, della valorizzazione dei beni culturali; nella terza si adottano gli strumenti specifici per preservare i beni paesaggistici; nella quarta si predispongono le sanzioni amministrative e penali necessarie per attuare le varie norme; nella quinta si trovano le disposizioni transitorie e le abrogazioni. Esso si apre con una dichiarazione di principio: “In attuazione dell’art. 9 della Costituzione, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale” (art. 1.1.).
“Lo Stato, le Regioni, le città metropolitane, le Provincie, e i Comuni assicurano e sostengono la conservazione e la pubblica fruizione del loro patrimonio culturale” (art. 1,3).
“Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici” (art. 2,1).
Alla fruizione della collettività sono destinati “i beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e sempre che non vi ostino ragioni di tutela” (art. 2, comma 4).
Le funzioni di tutela sono “attribuite al Ministero per i beni e le attività culturali…che le esercita direttamente o ne può conferire l’esercizio alle regioni…” (art. 4,1).
Per la valorizzazione dei beni culturali “La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati” (art. 6), e richiede il coordinamento tra ministero, regioni e altri enti pubblici (art. 7).
In materia di edilizia pubblica e privata, l’art. 21 impone l’autorizzazione del Soprintendente e l’articolo 22 fissa i termini temporali per il rilascio delle autorizzazioni (120 giorni) salvo richiesta di accertamenti (altri 30 giorni).
Gli articoli dal 53 al 59 stabiliscono i criteri per la vendita del patrimonio demaniale. Opere o immobili che non rivestono un importante interesse culturale possono essere alienati, previa autorizzazione del ministero.
L’art. 101, comma 4, prevede che le strutture espositive e di consultazione e i luoghi di cultura in genere appartenenti a privati,se sono aperti alla collettività, “espletano un servizio privato di utilità sociale”.
Sempre l’art. 101 fornisce una innovativa definizione dei luoghi della cultura quali musei, biblioteche, archivi aree archeologiche, parchi archeologici, complessi monumentali.
L’art. 111 afferma che la valorizzazione è ad “iniziativa pubblica o privata”.
L’art. 120 regolamenta la sponsorizzazione dei beni culturali.
L’art. 146 affida agli enti locali il vaglio sugli interventi su immobili di pregio di proprietà privata.
Nella relazione di accompagnamento al Codice si legge che: “la nozione, culturale, sociale e giuridica di patrimonio culturale della nazione (patrimonio storico e artistico, in endiadi con il paesaggio) assume il ruolo di principio unificatore e informatore del settore nella sua interezza”. “All’interno del genus patrimonio culturale nazionale si iscrivono due specie di beni culturali, i beni culturali in senso stretto… e quell’altra specie di bene culturale, in senso più ampio, che è costituita dai paesaggi italiani”. Il Codice “lascia aperta e impregiudicata la possibilità che altri beni vengano individuati dalla legge… quali testimonianze aventi valore di civiltà”.
Vedi commento in Gazzetta Ufficiale 21.04.2006:
“E'' stata così esercitata appieno la delega conferita al Governo dall''art. 10, comma 4, della legge 6 luglio 2002, n. 137, che prevedeva anche la facoltà di emanare decreti correttivi ed integrativi del Codice nel biennio successivo alla sua entrata in vigore. Il decreto che riguarda i beni culturali, oltre ad avere proceduto alla riformulazione di alcune proposizioni normative, onde rendere più intelligibile la volontà del legislatore e favorirne l''efficace attuazione, ha provveduto a ricondurre a sistema le disposizioni sopravvenute in materia. Molte le novità, anche di grande rilievo, introdotte dal provvedimento. Accenniamo alle più importanti: - Dopo la cancellazione del silenzio-assenso per "atti e procedimenti in materia di tutela del patrimonio culturale", avvenuta lo scorso maggio (esattamente con la Legge 80 del 14 maggio 2005) è stato eliminato ogni e qualsiasi riferimento esistente al riguardo nel testo del Codice. Il soggetto pubblico che ha richiesto la verifica dell''interesse culturale di un bene, decorso il termine di 120 giorni dalla domanda, potrà rivolgersi al T.a.r. chiedendo che sia ordinato all''amministrazione di provvedere. Il meccanismo del silenzio-assenso è stato eliminato anche nel procedimento di autorizzazione per gli interventi edilizi (nel quale era stato introdotto dalla c.d. legge Bassanini-bis); - Nel settore del restauro e della qualificazione dei restauratori, sono state apportate integrazioni finalizzate al riconoscimento della grande tradizione italiana del restauro e del livello di eccellenza al quale si collocano gli operatori e le scuole del settore. In quest''ottica si è attribuito all''esame conclusivo dei corsi di restauro svolti presso le "scuole di alta formazione e di studio" il valore di esame di Stato e, al contempo, sancita l''equiparazione del titolo rilasciato a seguito del superamento di detto esame al diploma universitario di secondo livello (laurea specialistica o magistrale); altra novità è l''istituzione dell''elenco dei restauratori, con riflessi positivi in termini di garanzie per l''utenza e di prospettive occupazionali. - Si è proceduto alla riscrittura delle disposizioni in materia di valorizzazione dei beni culturali, razionalizzando e potenziando gli strumenti giuridici relativi e facendo chiarezza sui modi di coinvolgimento delle risorse private. In termini sintetici, mentre le scelte strategiche concernenti gli obiettivi della valorizzazione restano ai soggetti pubblici proprietari dei beni, i privati possono intervenire sia nella programmazione (esclusivamente i soggetti giuridici senza fini di lucro, ad esempio le fondazioni), sia nella concreta gestione delle attività di valorizzazione (imprese). La prima fase ( e cioè individuazione degli obiettivi e delle strategie) prevede il raccordo diretto tra Stato, Regioni e autonomie locali, che ne sono i titolari esclusivi; mentre, in relazione alla seconda fase (quella della pianificazione), gli enti interessati possono anche ricorrere alla costituzione di un apposito soggetto giuridico, cui affidare l''elaborazione dei piani strategici di valorizzazione culturale e il loro sviluppo, dove c''è la possibilità di intervento delle fondazioni (senza fini di lucro). Per l''ultima fase, quella attuativa della valorizzazione, quando non è svolta direttamente dalle amministrazioni attraverso le proprie strutture interne, è previsto l''affidamento in concessione a terzi, con i sistemi dell''evidenza pubblica (le gare d''appalto). In questo quadro, si sottolinea l''introduzione della nozione di "ambito territoriale definito", ricorrendo ad una formula già nota, nella sostanza, alla legislazione regionale nonché agli studi di economia del territorio sviluppati presso le strutture di ricerca universitarie. Con essa si sono volute individuare, quale oggetto privilegiato delle scelte strategiche di valorizzazione, quelle porzioni territoriali che, in ragione delle omogeneità culturali e della vocazione economica, si prestano ad una efficace interrelazione tra istituzioni museali, infrastrutture e realtà economiche e produttive, finalizzata allo sviluppo culturale e sociale delle aree medesime. Le modifiche introdotte nel decreto concernete il paesaggio sono sicuramente le maggiori. In primo luogo si è provveduto alla correzioni di errori materiali, e sono state fornite inoltre migliori formulazioni lessicali delle disposizioni, esprimendo, in termini più chiari e giuridicamente più corretti, alcuni concetti e istituti giuridici già messi a punto nel Codice Urbani. Il testo contiene disposizioni che introducono delle modifiche fortemente innovative, che pongono sul tappeto questioni note e importanti e mirano a un rafforzamento della tutela. Le principali si riassumono nei seguenti tre punti: 1) razionalizzazione e previsione di termini certi per il procedimento di vincolo (allo scopo di dare certezza alle situazioni giuridiche ed evitare il protrarsi sine die o per tempi troppo lunghi degli effetti interinali di limite alla libertà e alla proprietà dei privati per effetto della comunicazione di avvio del procedimento di individuazione, non seguita da tempestiva conclusione) - artt. 138, 139, 140 e 141; 2) introduzione di un indirizzo generale alle Regioni (i cui effetti diretti immediati partiranno con l''attuazione da parte regionale) per orientarne la eventuale delega agli enti locali della funzione di autorizzazione paesaggistica verso livelli (quali la Provincia, o forme associative di comuni, piuttosto che ai comuni singoli) più adeguati (perché non in posizione di conflitto con i poteri autorizzatori edilizi, non certo per migliore o diversa capacità gestionale ) - art. 146, comma 3; 3) previsione transitoria del carattere vincolante del parere della Soprintendenza nel procedimento di autorizzazione paesaggistica fino all''adeguamento congiunto (Stato-Regione) del piano paesaggistico ai dettami del Codice - artt. 146, comma 8, e 143, comma 4”.
Vedi Cons. Stato, sez. VI, 17.10.2003 n. 6344; T.A.R. Puglia, 9.01.2004 n. 117.
Testo Unico in materia ambientale, contenuto nel Decreto Legislativo del 3 aprile 2006 n. 152, in suppl. ord. N. 96 della Gazzetta Ufficiale 88 del 14.04.2006.
Il nuovo Codice dell’Ambiente, entrato in vigore 29 Aprile 2006, è composto di 318 articoli e 45 allegati. Il disegno di legge delega era stato approvato per la prima volta dal Consiglio dei Ministri del 9.08.2001. La stesura del testo è stata affidata ad una Commissione di Saggi che ha concluso i propri lavori nel mese di settembre del 2005. Il codice è destinato ad interagire con il Codice dei Beni Culturali, nell’ottica dell’indissolubilità dell’endiadi contesto ambientale- patrimonio storico artistico.
Il 2 Maggio 2006 il Ministro dell’ambiente Matteoli, ha firmato i primi nove decreti attuativi del codice:
- istituzione dell’autorità di vigilanza sulle risorse idriche e rifiuti
- norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue
- modalità di aggiudicazione da parte delle autorità sulla gestione dei rifiuti urbani
- modalità di aggiudicazione del servizio integrato
- definizioni dei limiti esterni dell’estuario
- registri di carico e scarico dei rifiuti
- criteri e modalità per il campionamento e l’analisi delle terre e rocce da scavo
- disciplina per il monitoraggio della spesa ambientale
- gestione dei registri delle imprese autorizzate alla gestione dei rifiuti. Il maxi decreto interviene anche su molti settori:
- valutazione impatto ambientale (VIA)
- valutazione ambientale strategica (VAS)
- autorizzazione ambientale integrata (IPPC)
- difesa del suolo
- lotta alla desertificazione
- tutela delle acque
- rifiuti
- tutela dell’aria
- danno ambientale
Si è sostenuto in Dottrina (vedi P. Balducci, Atti del Congresso Giuridico di aggiornamento per l’Avvocatura, Roma, Consiglio Nazionale Forense, 2006) che: “La natura di tale imposizione è più vicina ad un accordo privatistico tra il proprietario privato, che beneficia di finanziamenti pubblici per effettuare interventi conservativi sul proprio bene, di cui beneficerà lo stesso proprietario e che aumenteranno di cerrto il valore di mercato del bene stesso, e lo Stato, il quale a fronte dell’erogazione di somme di danaro finalizzate al generale scopo di tutelare il patrimonio culturale nazionale ottiene una limitazione circoscritta nei modoie nei tempi della disponibilità del bene da parte del privato a totale beneficio del perseguimento di un’altra fondamentale finalità pubblica, quale quella della fruizione del patrimonio culturale da parte di tutti i cittadini”. Tale tesi contrattualistica può aver fondamento solo nel caso in cui la necessità del restauro sia stata condivisa dal privato proprietario e che questi abbia richiesto ed ottenuto i finanziamenti, mentre lascia perplessi rispetto al diverso caso in cui sia il restauro che il finanziamento siano stati imposti; qui, l’ulteriore imposizione dell’accesso agli altri cittadini costituisce un’aperta deroga al carattere di esclusività ed assolutezza normalmente connesso al diritto reale in oggetto, e si giustifica esclusivamente in virtù dei poteri autoritativi d’imperio della P.A., ovvero nel quadro ablativo di parte dell’uso, laddove ammissibile.
Vedi Cass. Civile, sez. un., ord., 17.04.2003 n. 6221).
Nel 2005 sono diventate 365 le gestioni imprenditoriali di musei ed eventi culturali, grazie anche all’applicazione dell’art. 115 Codice Beni Culturali, il quale prevede che beni ed eventi culturali possano essere gestiti anche tramite affidamento diretto a istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali o altri soggetti, costituiti o partecipati in misura prevalente dalla P.A. interessata. Nell’anno 2005 in media circa il 25% delle spese sostenute dalle gestioni autonome è autofinanziato da vendita di servizi e sponsorizzazioni private, mentre il restante 75% è coperto dal trasferimento pubblico. Vedi articolo “La cultura cresce in Comune” dedicato al Rapporto 2005 Federculture, “Cultura tra identità e sviluppo”, in F. Montemurro, Sole 24 Ore del 16.01.2006, p. 48.
La Corte Costituzionale ha affrontato varie questioni di legittimità di alcune norme vigenti. Con la sentenza n. 26 del 20.01.2004, ha chiarito che lo Stato ha il potere di dare in concessione i suoi beni, ricavandone un corrispettivo, e che tale potere è comprensivo anche della gestione.
Le più puntuali e documentate censure al codice provengono dal mondo della museologia, che accusa l’attuale impianto normativo di aver “stravolto” il significato di bene culturale e quello di patrimonio comune, allo scopo di introdurre una progressiva privatizzazione. Vedi al riguardo: Cassanelli Roberto e Pinna Giovanni (a cura di), Lo Stato aculturale, Intorno al codice dei beni culturali, Milano, 2005.
E’ il caso del Museo Egizio di Torino, che avrebbe dovuto rappresentare un’operazione pilota nell’ambito della privatizzazione e che, invece, vive un a situazione di stallo, in quanto non si è giunti ad una scelta tra il permanere della natura statale dell’ente di gestione e la sua trasformazione in fondazione, quindi tra una gestione interamente pubblica e una in cui i privati (prevalentemente banche) giocano un ruolo fondamentale. Il 19 dicembre 2005 è stato siglato il contratto di servizio in base al quale il ministero si è impegnato a mantenere temporaneamente l’accollo a proprio carico degli stipendi dei dipendenti, mentre il 19 gennaio 2006 il Ministero B.A.C. ha conferito alla neonata fondazione l’immobile e i beni esposti (vedi sull’argomento l’articolo di A. Cerchi in Sole 24 Ore del 7/02/2006).
Va detto che la sezione Consultiva del Consiglio per gli Atti Normativi nell’adunanza del 26.08.02 si è pronunciata sfavorevolmente sullo schema di regolamento ministeriale che disciplina la creazione e la partecipazione a società miste pubblico-private.
Poi convertito con modifiche dal Parlamento nella Legge n. 326 del 24.11.2003 (v. art. 27).
Per un’ampia trattazione delle questioni di politica fiscale, vedi Bondardo Comunicazione, Osservatorio Impresa Cultura (a cura di), La defiscalizzazione dell’investimento culturale. Il panorama italiano e internazionale, Roma, 2002.
Per le questioni previdenziali e tributarie, vedi Cardone Roberto et alia, Artigiani e Artisti. Analisi giuridica dell’attività economica dell’artigiano e dell’artista per il corretto inquadramento tributario e previdenziale, Napoli, 2006.
Per una specifica disamina vedi A.A.V.V., Diritto d’autore e diritti connessi nella società dell’informazione, ed. IPSOA, 2003.
Si segnala, per la presenza di aggiornamenti alle ultime novità normative, nonché per un’ampia bibliografia: Sirotti Gaudenzi A., Il nuovo diritto d’autore. La tutela della proprietà intellettuale nella società dell’informazione, Santarcangelo di Romagna (RN), 2005.
I dati del 2005, forniti dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, mostrano un incremento notevole dell’ammontare dei finanziamenti erogati dalle imprese alle attività dello spettacolo e dell’arte. Si è giunti a 32 milioni di euro a fronte di 19 milioni registrati nel 2004, con una crescita rispetto all’anno precedente, pari al 71%. Il 70% di tutti i contributi erogati è stato destinato allo spettacolo, mentre il residuo 30% alle attività artistiche.
Ne hanno beneficiato soprattutto istituzioni statali, mentre gli enti locali hanno raccolto il 9% dei finanziamenti. Fra gli enti più sovvenzionati si è distinto il Teatro alla Scala, la fenice, la Fondazione Accademia di S. Cecilia, il teatro lirico G. Verdi di Trieste e il San Carlo di Napoli. La Regione più favorita e capace di calamitare i finanziamenti è stata la Lombardia (61%), seguita dal Veneto (12%) e dal Lazio (8% circa). Trattasi di un dato confortante dopo anni di stagnazione, in grado di offrire una boccata di ossigeno per gli ossuti bilanci ministeriali, vessati da tagli così pesanti da mettere in pericolo l’apertura dei monumenti. Questo aumento trae causa da una migliore comprensione da parte delle aziende dei benefici di una sponsorizzazione culturale e da un clima di favore intorno alla disposizione dell’art. 100, comma II, lettera m del Testo Unico delle imposte sui redditi, che consente loro di dedurre integralmente dal reddito d’impresa i contributi versati alla cultura e allo spettacolo. Si è, tuttavia, ancora ben lontani dagli obiettivi prefissati con l’adozione della norma. Tant’è che si era fissata una soglia massima di deducibilità complessiva pari a 139,4 milioni di euro. Superato tale limite gli enti no profit beneficiari dovrebbero restituire allo Stato il 37%, da calcolarsi proporzionalmente tra tutti i soggetti beneficiari. Tale procedura è rimasta disapplicata.
Va aggiunto, sulla scorta dei dati ministeriali predetti, che la maggioranza delle imprese donanti è costituito da macroaziende come l’ENEL, la Pirelli, La Bamca Nazionale del Lavoro e altre fondazioni bancarie, mentre il contributo e l’interesse dimostrato dalle piccole realtà imprenditoriali resta basso; sicché occorrerebbe escogitare nuove formule premiali per le piccole aziende chje costituiscono notoriamente un veicolo culturale primario in quanto radicato sul territorio.
Citazione dalla prefazione alla terza edizione di Sirotti Gaudenti, cit., cui si rinvia per una puntuale disamina delle fonti normative nazionali ed internazionali.
Innovative al riguardo, le ordinanze del 9.09.2004 e del 3.12.04, emesse dal Tribunale di Milano, sul caso dell’epistolario tra Italo Calvino ed Elsa de’ Giorgi, pubblicate in Foro Italiano n. 1 del 2005, I, 249.
|