Venezia: Punto di separazione tra il bacino di San Marco, il Canal Grande.
foto: Giacomo Latrofa
da Rassegna Forense, Rivista trimestrale del Consiglio Nazionale Forense, Giuffré Editore,
n.. 3-4 – luglio-dicembre 2005
Enzo Varricchio
Una nuova tipologia di Studi Legali
Specialisti in Arts & Cultural Law
SOMMARIO: 1. Il diritto dei beni culturali e delle proprietà intellettuali: una nuova specializzazione per gli Studi Legali. 2. Il bagaglio culturale imprescindibile per chi voglia operare in questo settore. 3. Le principali novità del panorama legislativo. 4. Commento ai punti salienti della nuova normativa.
- Il diritto dei beni culturali e delle proprietà intellettuali: una nuova specializzazione per gli Studi Legali.
Il settore culturale sta vivendo in Italia un’autentica rivoluzione copernicana dal punto di vista organizzativo, gestionale e normativo.
Si susseguono provvedimenti legislativi che affrontano una tematica dai confini talora impalpabili e per sua natura refrattaria alla regolamentazione e alla sistematizzazione giuridica.
Tale incremento nomopoietico avviene in conseguenza del processo più generale di rivalutazione del “patrimonio culturale” italiano.
Da quando economisti come William Baumol, Bruno Frey, o Walter Santagata in Italia, hanno compreso il valore del cosiddetto “capitale culturale” e l’importanza strategica di questo settore, legato al progressivo incremento del tempo libero da impegni lavorativi, è sorta una pletora d’interessi intorno a un complesso di valori in passato ritenuto non facilmente commisurabile dal punto di vista economico.
Per quanto riguarda la nostra penisola, il mondo politico-economico va accorgendosi che “il patrimonio storico e artistico nazionale rappresenta il grande giacimento petrolifero del Paese” , cioè un potente strumento di benessere, e si appresta a gestire il cambiamento di prospettiva rispetto ad un passato in cui i beni e le attività culturali si consideravano non produttivi di ricchezza materiale.
I gestori pubblici dei servizi culturali sentono il bisogno, a causa soprattutto dei cospicui tagli alla spesa , di riposizionarsi intellettualmente, aprendosi al mercato e al management, per cogliere nuove possibilità di finanziamento che, invero, sussistendo gli attuali vincoli, non sono in effettive condizioni di captare .
Da par loro, gli imprenditori privati vorrebbero avvicinarsi alla gestione dei beni e delle attività culturali, ma solo a patto di scrollarsi di dosso le tradizionali rigidità degli apparati burocratici.
Sicché i musei, le gallerie d’arte, le biblioteche, persino le soprintendenze e i centri storici, vanno trasformandosi in vere e proprie aziende pubblico-private e gli stessi artisti sono indotti a far da manager di se stessi, in un’atmosfera di quasi-mercato.
A prescindere da giudizi prognostici sui risultati futuri di un simile cambiamento, vi è di certo che esso sta comportando un parallelo e imponente sforzo normativo, strumento al fine di sostenere i beni e le attività culturali con un’adeguata politica economica, disciplinando al contempo, con maggior rigore e lungimiranza, l’esercizio dei diritti e l’adempimento dei doveri da parte dei soggetti interessati.
In questo affascinante ramo della ricerca, in cui economisti, politologi e aziendalisti si confrontano con storici dell’arte, artisti e museologi, un ruolo di prim’ordine rivestono i giuristi, allo scopo di fondare un’alleanza di servitù capace di promuovere progetti e metodologie concorrenti al perseguimento del pubblico interesse.
Negli U.S.A., l’Avvocatura non solo vanta un’illustre tradizione di mecenatismo ma esiste una peculiare tipologia di studi legali specializzati in diritto dei beni e delle attività culturali e di intrattenimento.
Non a caso, furono avvocati/critici d’arte, i grandi ideatori e benefattori dei musei americani tra Ottocento e Novecento: John Jay, nel 1866, ideò la realizzazione del Metropolitan Museum of Art e il principe del foro newyorkese, Joseph H. Croate, ne tenne il discorso inaugurale nel 1880; fu un altro avvocato, John Quinn, nel 1913, a suggerire l’estensione all’arte contemporanea dell’esenzione fiscale prevista dalla Payne-Aldrich Tariff del 1909.
In Italia, il fenomeno degli studi legali specializzati in Arts and Cultural Law è ancora poco diffuso ma comincia ad emergere.
Sorgono anche da noi, prevalentemente in città come Roma, Firenze e Milano, particolarmente interessate a campi come l’arte, la moda, la televisione e il cinema, ma anche in aree extraurbane caratterizzate dalla presenza di insediamenti turistico-culturali, studi legali specializzati nell’elaborazione ed attuazione di metodiche per la tutela e la valorizzazione delle proprietà intellettuali, per supportare il management dei beni culturali e la gestione del personale, per la creazione di modelli contrattuali e statuti organizzativi di enti finalizzati allo svolgimento di attività artistiche, ricreative, spettacolari in genere, in buona sostanza per rispondere alla crescente domanda di consulenza legale e di assistenza giudiziale specificamente qualificate in tale settore.
Se le politiche economiche in materia turistico-culturale daranno gli esiti sperati, presto in molti altri centri urbani e rurali, piccoli e grandi, si avvertirà il bisogno di una cura legale profondamente addentrata nei particolari principi e meccanismi che governano un settore così fluido e dinamico.
Il diritto dei beni culturali e delle proprietà intellettuali, pur non essendo disciplina d’insegnamento presente in tutti gli atenei italiani, si appresta a divenire un cardine della preparazione, oltre che per gli studenti di Giurisprudenza, per quelli delle facoltà storico-letterarie e delle Accademie di Belle Arti, nonché a costituire una materia necessaria di conoscenza per le selezioni del personale dei musei e delle Soprintendenze.
Dopo la Riforma delle norme in materia di “Diritto d’autore e diritti connessi” e l’entrata in vigore del Codice dei Beni Culturali , la materia ha assunto una migliore connotazione epistemologica e una propria sistematizzazione, senza per questo veder ridotta la difficoltà per il neofita di addentrarvisi.
Sono state introdotte nuove categorie di beni culturali, che abbisogneranno presto di un reinquadramento dottrinario: piazze, strade, miniere, archivi di un partito o di un sindacato, navi antiche, collezioni di beni religiosi, etc.
Sul fronte del diritto tributario, è entrata in gioco una politica di incentivazione fiscale per gli enti che svolgono o che finanziano attività culturali, un primo passo verso la stimolazione del quel mecenatismo privato che tanti risultati positivi ha conseguito nei paesi di Common Law .
La cultura dispiega un diorama di accezioni così vasto che sarebbe arduo racchiudere in esemplificazioni l’ampia sfera di attività bisognose di servizi legali, quali il sistema museale, le gallerie, le case editrici e discografiche, le arti musicali e visive, le assicurazioni, fondazioni ed altri enti no profit che investono in cultura.
L’esperienza del Premio Guggheneim Cultura ed Impresa dimostra che esiste un ampio bacino di utenza, costituito dalle aziende desiderose di esibire un’immagine positiva delle proprie attività partecipando alla sponsorizzazione di manifestazioni artistiche ovvero ad opere di ristrutturazione di monumenti.
Si stimano in diverse centinaia di migliaia i potenziali fruitori di servigi professionali di tale natura nell’area del contenzioso legale: basti pensare all’esercito di poeti, artisti, galleristi, musicisti, imprenditori turistici, direttori di teatri e musei, editori, sindaci di comuni di valore storico-artistico, amministratori di beni ecclesiastici, che lavorano nella nostra penisola e che spesso si trovano ad affrontare problemi tecnico-giuridici per cui sono richieste elevate capacità professionali e competenze specifiche, causa la novità, complessità e vastità della materia.
Vedi al riguardo David Throsby, Economics and Culture, Cambridge University Press, 2001.
Sono parole del Presidente della Confindustria, Antonio D’Amato, pronunciate in occasione del Convegno “Mecenatismo e imprenditorialità”, tenutosi a Roma il 26.11.03 e riportate dal Sole 24 Ore del 27.11.03, pag. 17.
Secondo il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Giuliano Urbani, l’attuale livello della spesa pubblica italiana in cultura, pari a circa lo 0,17% del P.I.L., è la metà del fabbisogno per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo programmati. Cfr. Sole 24 Ore dell’11 febbraio 2005, pag. 21, Raddoppiare la spesa in cultura.
Sul tema vedi Atti del Convegno Internazionale “L’azienda museo: dalla conservazione di valore alla creazione di Valori”, svoltosi in occasione degli 80 anni dell’Ateneo fiorentino, Firenze, 6-7 novembre 2003.
Decreto Legislativo n. 68 del 9.04.2003.
Decreto Legislativo n. 42 del 22.01.2004.
Negli Stati Uniti il 90% dei contributi alla cultura è di provenienza privata ma, contrariamente a quanto si crede, solo il 5% di questi proviene dalle imprese. La gran parte dei fondi è raccolta dai singoli cittadini o da enti benefici no-profit.
In Italia, molto si sta facendo per favorire la contribuzione da parte delle imprese ma assai poco per incentivare il “micromecenatismo”, cioè la partecipazione di singoli cittadini e soggetti no profit alla realizzazione e tutela di operazioni culturali.
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