Venezia: Punto di separazione tra il bacino di San Marco, il Canal Grande.
foto: Giacomo Latrofa
2- Il bagaglio culturale imprescindibile per chi voglia operare in questo settore.
Uno dei maggiori esperti italiani in diritto dei beni culturali è un avvocato, Antonio Mansi, ambientalista ed esponente di spicco dell’associazione Italia Nostra, la cui pingue bibliografia corre l’obbligo di segnalare a coloro che vorranno dedicarsi allo studio della legislazione dei beni culturali .
Vi sono ormai numerosi corsi di laurea che prevedono l’insegnamento di questa disciplina e si organizzano frequentemente seminari e master sull’argomento.
Non può mancare, ad ogni buon conto, una solida e duratura esperienza sul campo, di solito maturata attraverso ambiti di studio e professionali diversi da quello forense, quali il giornalismo, la critica d’arte, il collezionismo, ma soprattutto grazie alla cura diretta degli interessi di soggetti impegnati in questo settore.
La conoscenza dei dispositivi normativi rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per avventurarsi in un campo così particolare.
Un limite della cultura giuridica in materia, che ha segnato il passo anche nella visione riformista della recente legislazione, risiede nella scarsa conoscenza da parte dei giuristi della pragmatica del settore.
Nella vendita di un quadro, nella locazione di uno spazio espositivo per un artista, nella concessione del diritto di sfruttamento economico di un’immagine innovativa, nell’organizzazione di una performance artistica o di una manifestazione culturale esiste sempre un quid di affatto peculiare, che differenzia tali affari da quelli normalmente tipizzati dalle leggi o dalla prassi commerciale in altri ambiti, sia pur simili.
E’difficile apprestare azioni a difesa della paternità di un verso, di una melodia, di un acquarello, di un reperto archeologico, di una sceneggiatura o di un demo filmico, se non si posseggono conoscenze di massima di poesia, di musica, di pittura, di archeologia, di cinematografia.
Ci si misura con “concetti fluidi e analogie creative” in cui la stessa nozione di opera d’arte e, conseguentemente, i suoi caratteri giuridici, assumono contorni sfumati, come si ebbe modo di constatare nel 1928, in occasione del famoso processo intentato dallo scultore rumeno Constantin Brancusi contro gli Stati Uniti d’America .
L’oggetto del contendere in quel caso era costituito dalla domanda di riconoscimento della natura di opera d’arte ad un pezzo di metallo di 1,35 m, lucido e affusolato, riprodotto dall’autore in 22 versioni, denominato “Uccello nello spazio” e diretto alla galleria newyorkese Wildenstein per una esposizione.
Le autorità doganali statunitensi avevano respinto la richiesta di esenzione dai dazi, prevista per le opere dell’arte dall’art. 1704 del Tariff Act del 1922, sostenendo che non vi fossero gli estremi per considerare manufatto artistico un oggetto che sembrava somigliare a tanti altri prodotti dell’artigianato o dell’industria.
L’avvocato di Brancusi, Marcus Higginbotham, proferì un’arringa che in realtà dissimulava una sorta di panegirico sui caratteri dell’arte contemporanea in generale, nell’epoca della sua benjaminiana riproducibilità tecnica, e della dottrina di Brancusi in particolare, dedita all’astrazione delle forme pure, piuttosto che alla tradizionale riproduzione di elementi della natura.
La causa si concluse vittoriosamente per lo scultore, con il riconoscimento da parte della corte statunitense del diritto all’esenzione dai dazi doganali di quell’opera, in seguito passata alla storia non solo come perfetta sublimazione estetica dell’idea del volo e quale simbolo della libertà tecnica ed espressiva delle nuove generazioni di artisti ma, soprattutto, come emblema della sfuggevolezza e complessità dell’inquadramento giuridico di beni di tal fatta.
Non esiste una nozione giuridica univoca di opera d’arte, perché l’arte è per sua definizione indefinibile.
Un artista è sempre un cliente atipico, perché porta dentro di sé tutta la carica eversiva e alogica che gli consente di essere innovativo, comunicativo, lucido, profetico, riottoso ad irregimentarsi nei vincoli che la burocrazia e la legislazione impongono al libero esplicarsi della sua energia creativa.
Eppure, anche l’artista non può sottrarsi completamente alla logica degli interessi economici e dei rapporti sociali, come ha potuto constatare personalmente lo scultore Mario Ceroli, le cui opere, esposte nel 2003 al Castello Svevo di Bari, furono sottoposte a pignoramento per crediti alimentari azionati dal coniuge separato dell’artista.
Vi sono poi alcune carenze dell’apparato normativo con cui bisogna confrontarsi.
Alcune nazioni come, ad esempio, il Canada, hanno varato uno statuto ad hoc per gli esercenti le arti, mentre in Italia manca il riconoscimento dello status giuridico e professionale dell’artista; diversamente dagli altri professionisti intellettuali, non sono per lui previsti albi, ordini, assicurazioni, pensioni, studi, controlli, etc., né la annunciata riforma degli ordini professionali sembra peritarsi di approfondire l’argomento.
La Repubblica italiana non incoraggia gli artisti né riconosce loro alcun benefizio o particolare trattamento in considerazione del ruolo socialmente utile che svolgono.
A dire il vero, anche il dettato costituzionale, è assai parco in materia di beni culturali e di attività artistiche, il cui valore e la cui tutela vengono sinteticamente richiamati nelle disposizioni degli artt. 9 e 33, comma I.
Nessuna menzione è riservata dalla Costituzione allo status dell’artista o del poeta, che pure dovrebbero incarnare figure tipiche dell’italianità o, quantomeno, essere considerati gli alfieri della grande tradizione culturale del nostro Paese.
In conclusione, per essere accreditati come specialisti in diritto delle arti e della cultura occorre un bagaglio conoscitivo ed esperenziale che non è dato improvvisare.
Un avvocato che voglia operare nel settore artistico-culturale, può trovarsi impegnato sia nell’ambito del diritto civile (predisposizione di contratti, tutela della proprietà intellettuale, etc) che amministrativo (difesa dei beni culturali, rapporti tra enti pubblici e proprietari privati di beni dichiarati di interesse culturale, etc.) che penale (reati di lesione del patrimonio culturale, violazioni del diritto d’autore, etc.); inoltre, deve conoscere intimamente la natura e i contenuti caratteristici delle prestazioni rese dai propri assistiti.
Per fermarci, a titolo di esemplificazione, al solo ambito della contrattualistica, si presenta una pluralità di figure negoziali, caratterizzate da contenuti estremamente peculiari ed eterogenei: il contratto di edizione per le stampe, di rappresentazione di opere teatrali e di esecuzione di opere musicali, di opere cinematografiche e audiovisive, di arte figurativa e fotografica, i contratti di sfruttamento di creazioni utili, di trasferimento di proprietà museale, etc .
In particolare, si segnalano: A. Mansi, La tutela dei beni culturali, 1993.
Storia e legislazione dei beni culturali-ambientali, 1998.
Il nuovo Testo Unico per i beni culturali e ambientali, 2000.
La tutela dei beni culturali e del paesaggio, 2004.
Vedi il resoconto del processo in “Brancusi contre Etats-Unis Un procès historique, 1928”, ADAGP, Paris, 2003.
Per una trattazione dei contratti relativi ai beni e alle attività culturali, vedi Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di P. Cendon, I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, Beni Culturali, , Torino, 2004.
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